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Testimonianze

Testimonianze

Prima del venerdì 17 maggio 1996 non avrei mai immaginato che sarei stata invitata, quale coordinatrice di una associazione di donne operate per tumore al seno, a fare una relazione sulla ”Sofferenza psicologica dei pazienti “.
Quando sentivo parlare di tumore in generale avevo dei brividi interni. Se sentivo che qualcuno aveva un cancro lo immaginavo con nessuna speranza di guarigione e poco tempo da vivere. Avevo visto, quando ero piccola, mia madre morire per cancro al seno, e, quando facevo periodicamente i controlli speravo sempre in fondo al mio cuore che una di quelle donne che annualmente vengono colpite da questa patologia non fossi io …. ma qualcun’altra.
Ma per l’anno 1996 ero io uno dei numeri di cui parlano le statistiche.
Ero io assieme ad altre che a mano a mano hanno preso un volto ed un nome e sono diventate alcune delle amiche con le quali abbiamo fondato l’associazione “Per te donna”, per il sostegno psicologico delle donne operate di tumore al seno e per diffondere la cultura della prevenzione intesa come diagnosi precoce.
Cercherò quindi di parlare di questa sofferenza che accomuna molte di noi, ma poiché non sono un tecnico del settore, e non sono un’esperta sotto il profilo medico, non posso parlare degli aspetti scientifici dei fatti psicologici. Parlerò ripercorrendo la mia esperienza e quella delle altre donne che con me fanno parte della nostra associazione.
Spesso l’inizio della sofferenza comincia con la diagnosi. Infatti alcune patologie come il cancro al seno sono asintomatiche e all’apprendere di essere malate si crea, una situazione di crisi acuta, estrema ed improvvisa, che ci porta ad:
UNA PROFONDA DISORGANIZZAZIONE DI PENSIERO (non facevo che ripetermi: “Ma io sto bene, ma io mi sento bene)
UNA SOFFERENZA ACUTA ED INSOPPORTABILE (che si vorrebbe tradurre in richiesta di aiuto)
UNA ALTERNANZA DI STATI EMOTIVI (con passaggi da stati di negazione a momenti di disperazione e panico).
Perché si prova
angoscia dell’intervento
angoscia della mutilazione
paura di non guarire con la minaccia della morte tra atroci sofferenze.
Non dimenticherò mai le grida terribili di un paziente, la seconda notte del mio ricovero all’ospedale oncologico per l’intervento di tumorectomia al seno. Erano urla e non lamenti, e sono durate tutta la notte, senza tregua, fino all’alba. Non c’è bisogno che dica cosa ho pensato in quella notte. E mentre la paura dell’intervento e l’angoscia della mutilazione possono superarsi, quello che resta sempre è l’angoscia della non guarigione.
DOPO IL TUMORE NESSUNO DI NOI E’ COME PRIMA
Perché cambiano le prospettive di vita, si trasformano le relazioni, cambia il valore che si da a se stessi ed agli altri.
Questo posso dirlo serenamente adesso che sono passati quasi cinque anni, ma subito non ce ne rendiamo conto, noi continuiamo a vederci uguali a prima.
Ma scoprire di avere una malattia così grave ti mette di fronte alla morte, a tu per tu con essa.
Ti provoca uno shock, un trauma. Alla diagnosi mi sentivo quasi già morta e cominciavo a pensare come sarebbe stata la vita dei miei cari senza di me. Scopri di essere sola con la tua malattia; e non sai esattamente quanto puoi vivere e se vivrai. Sono sensazioni terribili, nuove, fortissime, di crisi.
Elaboriamo la vita passata e tante cose del vissuto di prima diventano inaccettabili perché ci si rende conto che non c’è tempo da perdere in convenevoli inutili, sopportazioni da crocerossina, perché la vita è una e può essere molto più breve di quanto si pensi.
In una situazione di così forte sofferenza psicologica è indispensabile fare avere al paziente la possibilità di un supporto psicoterapeutico. Perché il tumore può ledere degli organi vitali ma la diagnosi, la cura della malattia, possono causare delle alterazioni, forse irreversibili, all’equilibrio psicologico.
LA MALATTIA SCONVOLGE IL CORPO
LA DIAGNOSI LA MENTE E LE PROSPETTIVE DI VITA
In genere si pensa che possano essere di aiuto i familiari ma ciò quasi mai può essere vero.
Anche in situazioni ottimali i congiunti non riescono ad aiutare, ad agire in modo razionale come si vorrebbe, e con un profondo senso di solidarietà ed accudimento. Perché l’intera famiglia è coinvolta e si vedono in essa le stesse reazioni di stress, incredulità, negazione, che si hanno nel paziente.
Basti pensare ai volti dei nostri familiari il giorno in cui abbiamo appreso la diagnosi. Ai loro volti quando ci guardavano con pochi capelli o con la parrucca. I familiari vivono tensioni altissime, cercano un adattamento possibile con comportamenti che oscillano tra posizioni di protezione, di lotta (andiamo da altri medici, all’estero), di distacco, di fuga.
Il loro amore può fare tanto è vero. Ma non può far tutto. Sarebbe come voler curare, col solo affetto, chi ha carenza di ferro, o peggio ancora un diabetico.
Occorre quindi che l’ammalato abbia la possibilità di essere aiutato e non si vergogni di non farcela con le proprie forze e di avere bisogno di aiuto: la sofferenza è a volte troppo forte per essere affrontata da soli senza un supporto psicologico o psicoterapeutico.
Non troppi anni fa molti malati ed i loro familiari si vergognavano di far sapere che in famiglia c’era qualcuno con un tumore, con ciò ritardando la cultura della prevenzione.
Adesso occorre evitare che accada altrettanto, non si deve nascondere la propria crisi profonda, la propria sofferenza psicologica che, se non può essere evitata, può essere almeno alleviata.
Anche io pensavo di potercela fare da sola, avendo dovuto lottare tante altre volte nella vita, ma soprattutto temevo, rivolgendomi a qualcuno, di restare per sempre dipendente da cose, persone o medicine. Spesso inoltre per non vedere maggiormente soffrire chi ci sta vicino si finge di essere più sereni di quanto non si sia nelle realtà con un conseguente accentuarsi dello stress.
Adesso sono contenta di essermi rivolta ad uno specialista quando non mi riconoscevo più nel mio carattere.
Da sola forse ci sarei riuscita, dopo quanto tempo? Quanta parte della mia vita avrei perso?
Sono grata al medico che mi ha aiutata e consigliato anche somministrandomi farmaci blandi. Vorrei adesso fare una distinzione tra :
SOFFERENZA PER LA MALATTIA (diagnosi, cure chemioterapiche, radioterapiche, ecc.)
e
SOFFERENZA PER LA PAURA DEL COME SI POTREBBE MORIRE
Il trauma della morte si affaccia nella nostra vita ogni volta che ci si sofferma col pensiero a questa realtà inevitabile, ma noi possiamo difenderci rimuovendo questo pensiero: sappiamo che ciò accadrà ma non sappiamo quando né come accadrà.
Dopo una diagnosi di cancro è molto più difficile rimuovere questo pensiero e soprattutto rimuovere il pensiero del come accadrà. Ma quello che ci sembra inaccettabile è immaginarla tra sofferenze atroci.
Molti di noi hanno visto morire le proprie madri, che pur volendo vedere noi figli per i pochi momenti che restavano loro, chiedevano di essere stordite con i farmaci. E quasi tutti noi abbiamo visto nella stessa situazione altre persone care.
Non è traumatico il pensiero di essa, ma come si prospetta questo evento. Ed è questo un concetto ricorrente tra gli ammalati. Infatti perché, anche se i problemi cardiaci sono tra le maggiori cause di morte, non terrorizzano quanto i tumori?
C’è la paura di finire lentamente, angosciosamente, miseramente e, con una fine simile, qualunque vita, felice o triste, serena o tribolata viene annullata.
Fortunatamente è stata modificata la legislazione italiana relativa alla terapia del dolore fisico, detto “severo”, secondo la dizione dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità, ed i medici potranno adesso prescrivere morfina ed antidolorifici d’efficacia simile alla morfina come già da tempo in altre nazioni europee. La normativa italiana era tra le più restrittive ed arretrate nel concedere sollievo alla sofferenza ed i medici rischiavano l’accusa di spaccio. Adesso sono consentiti dosaggi fino a trenta giorni ed anche l’uso domiciliare.
Vorrei concludere dicendo che sarebbe necessario in base alle esperienze di tante di noi che in ogni struttura oncologica, possano essere attivati:
il sostegno psicologicoe psicoterapeutico in tutte le fasi che accompagnano gli ammalati: dalla diagnosi, alle cure, alla guarigione o alla fine della vita.
Le cure palliative per tutti coloro che non rientrano, sempre statisticamente parlando, tra coloro che guariscono affinché sappiano di poter lasciare la vita senza sofferenze atroci. Una cura si definisce palliativa quando tende ad alleviare i disagi che affliggono il malato per offrirgli il massimo benessere possibile, ma il suo scopo non è più il guarire la malattia.
Si potrebbero così evitare molte richieste di eutanasia da parte di coloro che sanno di doverci lasciare.
Vorrei concludere con delle considerazioni positive, perché anche se in noi si è modificata l’idea del futuro, che potrebbe essere brevissimo, questo cambiamento di prospettiva ci può sottrarre alla nevrosi dell’uomo occidentale, che non riesce a vivere quasi mai nel presente, ma passa la vita temendo il tempo che verrà e rinviando la realizzazione dei propri progetti.
Noi dobbiamo avere chiaro più che mai che la “vita è adesso”. E’ proprio ora nel presente che dobbiamo vivere attingendo dal nostro passato le cose più belle ed apprezzando il tempo che ci resta.
Anna Maria La Ferla - Socia fondatrice Per Te Donna ONLUS
Bibliografia
Sergio Zavoli - "Dossier Cancro " - Garzanti 99
Attivecomeprima - "E poi cambia la vita" - Franco Angeli
U. Veronesi - "Le donne devono sapere" - Sperling e Kupfer Ed.
Roberta Cini - "Pensieri del tempo breve" - Ed. del Cerro
Gianni Bonadonna - "Una sfida possibile" - Rizzoli Ed.